Successioni: interessi e rivaluzione nella collazione ereditaria

Successioni: interessi e rivaluzione nella collazione ereditaria

L’istituto della collazione, disciplinato dall’art. 737 c.c., consiste nell’obbligo posto a carico del coniuge e dei figli (nonché dei loro discendenti) di conferire ai coeredi in comunione ereditaria quanto abbiano ricevuto dal defunto per donazione, direttamente o indirettamente, salvo che il defunto non li abbia da ciò dispensati.

La collazione può essere per imputazione, che consiste nell’imputazione del valore del bene alla massa ereditaria (secondo la giurisprudenza, consisterebbe in un conferimento ideale dell’equivalente pecuniario del bene donato) o in natura (c.d. collazione in senso stretto), possibile solo per gli immobili, che consiste nel trasferimento dell’immobile stesso nella massa.

Molto spesso gli eredi ritengono – precisiamo subito erroneamente – che in sede di collazione per imputazione, le somme di denaro generino interessi legali e/o rivalutazione in sede di ricostituzione della massa ereditaria.

Dottrina e giurisprudenza hanno fatto chiarezza.

  1. Innanzitutto, occorre chiarire quali donazioni siano, o meno, oggetto di collazione per imputazione.

Non siano soggette a collazione le spese ordinarie fatte dal padre a favore del figlio, che rappresentano l’adempimento di un obbligo e non una liberalità (spese di mantenimento, di educazione, per malattia, per abbigliamento o nozze, se contenute nella misura ordinaria) (art. 742 c.c.).

Sono, invece, soggette a collazione le spese che il defunto ha fatto per assegnazioni fatte a causa di matrimonio, per avviarli all’esercizio di una attività professionale o per pagare i loro debiti.

2. Vi è, poi, la seconda questione assai dibattuta e spesso frutto di diatribe tra eredi, e cioè l’ipotetica maturazione di interessi legali dalla data della donazione fino ad oggi.

Ebbene, le donazioni in denaro non fanno maturare interessi legali, se non dopo l’apertura della successione.

Infatti, ai sensi dell’art. 745 c.c., i frutti [820 c.c.] delle cose e gli interessi sulle somme soggette a collazione non sono dovuti che dal giorno in cui si è aperta la successione [456 c.c.].

Il principio è stato confermato dalla giurisprudenza costante, in primis dalla Suprema Corte di Cassazione (ex plurimis Cass. Civ. Sez. II 22 dicembre 2020 n. 29247), che ha stabilito, all’unisono, che, una volta che il condividente donatario abbia optato per la collazione per imputazione – che si differenzia da quella in natura per il fatto che i beni già oggetto di donazione rimangono di proprietà del medesimo condividente – la somma di denaro corrispondente al valore del bene donato, quale accertato con riferimento alla data di apertura della successione, viene sin da quei momento a far parte della massa ereditaria in sostituzione del bene donato, costituendo in tal modo “ab origine” un debito di valuta a carico del donatario cui si applica il principio nominalistico; ne consegue che anche gli interessi legali vanno rapportati a tale valore e decorrono dal medesimo momento, e cioè alla data di apertura della successione.

Tale principio, pacifico in dottrina e giurisprudenza, prende avvio dal presupposto della “apertura della successione”: prima della morte del de cuius non esiste una massa ereditaria in relazione alla quale possa porsi il tema dei conferimenti della stessa. Pertanto, in assenza di divisione, non può sorgere l’obbligo collatizio.

Ne deriva che, ai fini del calcolo dei valori, trattandosi dell’applicazione del principio nominalistico della donazione (identificazione del bene immobile o mobile – denaro) non trovano applicazionesoprattutto in tema di collazione di denari:

  • Né l’istituto della rivaluzione;
  • Né quello della maturazione degli interessi,

nel periodo precedente alla apertura della donazione.

L’esclusione dei sopra indicati istituti è stato effettuato dal legislatore proprio per riequilibrare un potenziale disvalore a danno/vantaggio degli eredi, atteso che entrambi porterebbero un potenziale danno a carico di entrambi gli eredi:

  • L’erede che rivendichi gli interessi non ne ha diritto, perché il debito sorge solo dopo l’apertura della successione;
  • L’erede (donatario di somme di denaro) avrebbe certamente subito una svalutazione delle somme.

E’, infatti, noto il principio per il quale l’erede che riceva una donazione in denaro rispetto a chi, per esempio, riceva, sempre una donazione di immobili, sia svantaggiato, perché il denaro subisce sempre una maggiore svalutazione rispetto a qualsiasi altro bene.

Per tale motivo, il Legislatore (cfr. art. 745 c.c.) ha optato per l’esclusione di entrambi gli istituti (rivalutazione ed interessi) per tutta la durata della donazione e rimettendo la decorrenza esclusivamente alla data dell’apertura della successione, con le conseguenze di cui sopra.