Femminicidio, una donna uccisa ogni 5 giorni

Femminicidio, una donna uccisa ogni 5 giorni

Novembre
2023

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Non si tratta di numeri, ma di una tragedia del genere umano.

Basta parlarne solo dopo il caso eclatante, stop allo show politico del “giorno dopo”, mettiamo in atto gli strumenti che già esistono, senza fare campagne legislative che tanto arriveranno sempre troppo tardi.

Con il femminicidio non si può aspettare la legge nuova, la legge perfetta: gli strumenti, certamente sempre migliorabili, esistono, ma non vengono applicati. Occorre sempre aspettare l’orrore, perché si pensi a cosa si sarebbe potuto fare.

Questo non salva le donne che oggi sono ancora vive, ma, ogni giorno, maltrattate, vittime di violenze di ogni genere, nei contesti familiari più impensabili, quelli “dell’alta borghesia”, quelli del “chi l’avrebbe mai detto”, o, peggio, “non ci siamo accorti di nulla”, “non c’erano segnali”, “sembrava una così bella coppia”.

Entriamo nel merito giuridico.

1) La donna non denuncia, perché ha paura di non essere creduta.

E’ drammaticamente vero:

Quando non ci sono testimoni, perché l’80% delle violenze avviene in casa, e nessuno ha sentito. Non è vero, qualcuno ha visto o, quanto meno, ha un dubbio: un vicino di casa, un’amica che ha ricevuto qualche strano messaggio dalla vittima, che, a suo modo, urla chiedendo aiuto, ma noi non abbiamo tempo di ascoltare, di allungare una mano e offrire aiuto.

La colpa è anche parzialmente di tutti noi, dell’egocentrismo che mette in primo piano i nostri pensieri, che ci rendono sordi.

Quanti hanno sentito urla in un condominio, capito che un’amica raccontava di essere caduta per giustificare segni evidenti di violenza: ma quanti di noi hanno detto “ti accompagno io in ospedale, dalle Forze dell’Ordine, chiamiamo il 1522, cerchiamo un professionista, un avvocato che abbia voglia di ascoltarci”?

Quando le prove abbondano, allora la donna viene aggredita di domande, prove sulla sua attendibilità, la vittima si trova, con un paradosso inaccettabile, a difendersi, provare che ha subito, una perversa inversione dell’onere probatorio che spegne le ultime forze della vittima (c.d. vittimizzazione secondaria).

2) La donna denuncia: e poi?

Torna a casa e aspetta che la Magistratura faccia il suo corso…

Intanto, continuano le violenze e si arriva, ogni 5 giorni, al femminicidio.

Non c’è tempo, quando si arriva alla denuncia, la Giustizia deve essere già un passo avanti al carnefice.

3) Le misure cautelari  

Divieto di avvicinamento: quindi? Se si rendesse noto il numero di braccialetti elettronici presenti sul territorio nazionale rispetto al numero di Ordinanze di applicazione di questa inutile misura cautelare rabbrividireste.

Ma queste notizie le conosciamo noi tecnici, l’Avvocato, il Magistrato, insomma chi lavora sul campo tutti i giorni per fermare il femminicidio, ma “a mani nude”, dovendo pensare ed agire più velocemente del carnefice.

Come Avvocato e Criminologa che opera nel settore specifico del Codice Rosso non ho più voglia (cioè ogni 5 giorni) di leggere promesse di nuove leggi, nuovi strumenti, perché, intanto, le donne continuano a morire.

Ho voglia di concretezza:

a. La vittima che prende coraggio e bussa alla mia porta una, due tre volte e per ore mi racconta fatti, vuol dire che ha cominciato a fidarsi di me. Lei mi racconta le sue paure ed io devo comunicarle sicurezza, sostegno concreto, darle risposte ancora più concrete, non nascondendo nulla, nemmeno le criticità.

b. Quando solo certa che sussista una reale situazione di pericolo (il tutto in pochi giorni, il tempo è il mio peggior nemico), quando mi accorgo che la vittima mi raggiunge di nascosto, affinché il criminale non lo scopra, allora non c’è tempo da perdere: accompagno io la vittima dalle Forze dell’Ordine e non la lascio più finché non viene messa in protezione.

A quel punto pretendo che gli strumenti cautelari esistenti siano applicati.

c. Dobbiamo, come categoria forense, opporci alle “finte misure cautelari”: basta divieti di avvicinamento, lo sappiamo che i braccialetti elettronici non esistono, allontaniamo da casa il carnefice, chiediamo l’applicazione immediata di misure più severe, come arresti domiciliari.

Ho sempre trovato aperte le porte del Magistrati, che, con le poche risorse con le quali, ahimè, anche loro fanno il possibile, ti ascoltano, sentono la vittima, hanno esperienza, capiscono subito dove e quando esiste il pericolo.

Ma di questo non si parla mai abbastanza, forse non fa notizia.

BASTA parlare di castrazione chimica o peggio, ma sempre ex post: nel “dopo” la Giustizia farà il suo corso, nel rispetto del diritto alla difesa, ma la vittima non torna in vita.

Il cancro del femminicidio va combattuto prima che ci porti via la vittima, dopo non serve più o, meglio, molto meno.

CONCLUDO: se si applicassero i tre punti sopra scritti, quindi,  comunicando a gran voce alle vittime che, rivolgendosi agli “addetti ai lavori”, il carnefice sarà fermato subito, e non per qualche settimana, ma per un periodo abbastanza lungo e con un processo di reinserimento sociale concreto, insomma, se la forza dell’azione penale fosse più concreta e risolutiva all’inizio del tunnel giudiziario, avremmo meno vittime.

Una potente azione giudiziale all’inizio costituisce un primo deterrente anche per il carnefice, almeno sarebbe un inizio.

E’ nostro dovere, di tutti noi tecnici del settore, far sapere che già oggi possiamo difendere le vittime, senza dove aspettare tempi immemori di riforme scritte e riscritte.

NON ABBIAMO PIU’ TEMPO

 

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